Violenza familiare Ancona

A proposito dell’8 marzo: la violenza familiare

Come in ogni situazione, ci troviamo di fronte a due schieramenti: favorevoli o contrari.

Ma se andassimo oltre questa contrapposizione?

Se andassimo oltre la concezione dell’8 marzo come sola festa della donna, che rivendica conquiste politiche, economiche e sociali? Se andassimo oltre la solita affermazione dietro la quale spesso ci si nasconde e in cui si riconosce l’importanza quotidiana della donna, non circoscritta al solo giorno a lei dedicato?


La violenza sulle donne, in qualunque forma si presenti, e in particolare quando si tratta di violenza intrafamiliare, è uno dei fenomeni sociali più nascosti; è considerato come punta dell'iceberg dell'esercizio di potere e controllo dell'uomo sulla donna e si estrinseca in diverse forme come violenza fisica, psicologica e sessuale, fuori e dentro la famiglia.
I femminicidi (a differenza di stalking, molestie, maltrattamenti e violenze sessuali che non sempre vengono denunciati) sono tutti noti alle cronache, con qualche eccezione, come le “scomparse”, in quanto non si può parlare di omicidio in assenza di un cadavere.
Sulla base dei dati di cui si dispone sul femminicidio (tratti dal libro: “Uomini che uccidono”), nel 70% dei casi c’erano precedenti situazioni di violenza o di stalking nella vita di colui che perpetra la violenza. Ciò vuol dire che l’omicidio è figlio di un percorso persecutorio iniziato con maltrattamenti e violenza fisica o psicologica che si è protratta nel tempo.

La maggior parte dei compagni violenti innescano un processo finalizzato al controllo e dominio della compagna sin dall’inizio della loro relazione, e seguono, come uno schema, una messa in atto di comportamenti e approcci che si ripete e si rafforza col tempo, fino ad arrivare ad ottenere la sottomissione, il totale annullamento della compagna, o  nei casi più estremi, la sua morte.
Si comincia con il controllo su tutto, sul modo di vestire, sui posti da frequentare e sul tipo di  lavoro da poter svolgere, per imporre poi un determinato modo di fare. Subentra in seguito l’isolamento dagli amici, dalla famiglia di origine, da qualsiasi vita sociale.
La vita della donna deve ruotare essenzialmente intorno al compagno. Spesso capita che sia la donna stessa a rinchiudersi, per evitare le continue pressioni psicologiche. La gelosia diventa patologica con un sospetto continuo e con infondate attribuzioni di intenzioni. Nel momento in cui la donna è allontanata dai suoi cari e soprattutto da chi è più critico verso un tale atteggiamento, iniziano le critiche avvilenti e le umiliazioni. La sistematica denigrazione, gli insulti, le intimidazioni, le minacce vanno a colpire l’autostima, il valore personale, vanno a creare una frattura gravissima nella identità della donna, per cui finirà per fare proprio il disprezzo e non si sentirà più degna di essere amata.
La violenza fisica, invece il più delle volte interviene solo se la donna resiste alla violenza psicologica, ossia quando l’uomo non è riuscito a controllare a sufficienza una donna che mostra la sua indipendenza: quando reagisce alle offese, quando non rinuncia a incontrare i familiari o a cercarsi un lavoro, quando minaccia di andarsene.
La realtà sembra molto più complicata e rivela che all’interno di queste coppie le donne non rispecchiano nessun profilo psicologico particolare, e anzi, non vi è nessuna ricerca di una storia d’amore connotata dalla violenza. Forse a volte si può riscontrare nell’età infantile una storia familiare ad alta conflittualità o di violenza agita dal padre ai danni della madre e dei figli, quindi in questi casi è corretto parlare di fattori di vulnerabilità, ma anche questo non è sufficiente a spiegare il fenomeno.
Si innesca un processo di plagio: l’individuo potenzialmente violento è anche, per forza di cose, un abile manipolatore ed è in grado di scoprire nel partner il punto debole che consente “l’aggancio”, ossia l’innesco del processo di plagio.
Il tutto comincia con un attento corteggiamento, lui rappresenta il “principe azzurro”, rispecchia perfettamente i suoi sogni e i suoi istinti protettivi, si presenta come la vittima di un’infanzia infelice o di un divorzio sfortunato. La seduzione è necessaria e dura fintanto che la relazione viene messa in piedi. Con la convivenza o con il matrimonio si innescano invece altri meccanismi: la seduzione, i comportamenti perfetti si alternano a  momenti di microviolenza, che si manifesta, imprevedibilmente con una serie di discorsi spregiativi, piccoli attacchi verbali. Fino a che tale alternanza imprevedibile di micro aggressività verbale e gentilezza si mantiene come uno schema subdolo, la donna resta confusa, e lentamente affievolisce la resistenza e la capacità di reagire.
A poco a poco queste donne perdono il loro spirito critico e cominciano ad “abituarsi” e ad abbassare sempre di più il loro limite del tollerabile. Altrettanto progressivamente, il compagno passerà da certi gesti o atteggiamenti non apertamente ostili a una violenza identificabile, e la donna che subisce continuerà a trovare tutto ciò sopportabile, gli attacchi saranno sempre più gravi e frequenti e la donna più insicura, isolata, distrutta nell’autostima, confusa, spaventata e sempre meno capace di prendere una decisione.
Queste donne arrivano a vivere la violenza secondo un cammino lento e subdolo e a non averne la consapevolezza, o ancor peggio ad essere consapevoli di meritare ciò che le infligge il compagno.
Come dice Leonard Shengold sui bambini vittime di abusi sessuali: “la loro anima diventa schiava dell’altro“.
Ci si trova di fronte a diverse tipologie di donne: le vittime di violenza che denunciano e lasciano per sempre un marito o un fidanzato aggressivo, ma anche quelle donne che, dopo un percorso nei centri anti-violenza o presso gli sportelli delle associazioni, decidono di non fare seguito alla denuncia. O peggio: che tornano dal carnefice. Un comportamento spesso incomprensibile.

Dal 2000, un gruppo di psicanaliste lacaniane dell'Istituto freudiano di Roma lavora, esperienza unica in Italia, presso il centro per donne in difficoltà di Valmontone (Roma) “La ginestra”, guidate da Laura Storti. Il percorso psicanalitico offerto, senza alcun obbligo, mira a spingere queste donne a rompere il legame vittima-carnefice. Non esiste una vittima e non esiste un carnefice. Nel senso che occorre spezzare il connubio e far riflettere la donna sulla propria soggettività, sul proprio fantasma interiore, sulla propria responsabilità.
Lo studio di Lenore Walker sulla donna maltrattata si basa sulla teoria del learned helplessness, letteralmente “stato appreso di mancanza di aiuto”, tradotto come "impotenza appresa", sviluppata da Seligman, per spiegare il comportamento passivo che si può verificare quando un soggetto è posto in un ambiente incontrollabile. Sulla scorta di questa teoria, alla fine degli anni settanta, la Walker elabora la sua posizione. Il ciclo della violenza descrive il circolo vizioso dell'abuso, se vi consideriamo la dimensione temporale, come una sinusoide: le tre fasi evidenziate corrispondono alla crescita, scoppio e ridimensionamento della tensione tra l'abusante e la sua vittima. Nella teoria della Walker il learned helplessness spiega perchè il ciclo si ripete e la vittima tiene un comportamento passivo: le viene instillato un sentimento di assenza di vie d'uscita attraverso vere e proprie tecniche di condizionamento.
Gondolf e Fisher sostengono che non si tratterebbe solo di impotenza appresa, ma anche della mancanza di una serie di opzioni pratiche che, nell'insieme, convincono la donna a restare e a cerare di cambiare il suo abusante. Il problema non starebbe nella percezione di una fuga impossibile, bensì negli ostacoli che la donna deve superare per poter fuggire (mancanza di alternative alla situazione abusante; mancanza o carenza di informazioni su come fare ad andarsene in maniera sicura; mancanza di risorse finanziarie) senza contare il contesto sociale ed istituzionale che spesso è carente e male organizzato quando non indifferente alla sofferenza della donna. Una visione della donna maltrattata attiva e non passiva, che porta a focalizzare l'attenzione sullo status di sopravvissuta: la donna cerca attivamente aiuto, formale ed informale, ma il fallimento della rete di relazioni e delle istituzioni d'aiuto, già sovraccaricate, limitate nelle risorse e anche con personale in burn out, la mantiene nella relazione abusante.

La sindrome di Procne (derivata dal mito greco di Procne) descrive, un altro tipo di situazione vissuta dalla donna abusata:

  • Reificazione della donna da parte del partner;
  • Isolamento sociale e controllo della donna;
  • Condivisione dei valori culturali relativi alla reificazione della donna che permette il perpetuarsi della violenza;
  • Isolamento da fattori di protezione quali rete dei congiunti e rete amicale e difesa da interventi esterni operati dal partner;
  • Pluralità delle tipologie di abuso;
  • Relazione interattiva sempre passibile di peggioramenti in cui viene fatto capire alla donna che qualsiasi comportamento per lei negativo da parte del partner è dovuto al proprio comportamento;
  • La donna viene resa invalida dal punto di vista comunicativo dal partner tramite violenza o minaccia e la separazione completa dal mondo esterno.
  • La donna abusata, per riuscire a interrompere la violenza, deve appropriarsi di un codice comunicativo ed un mezzo tale da poter comunicare all'esterno o a chi può aiutarla senza fraintendimenti.

Attraverso l'analisi della Sindrome di Procne si evince che sono in gioco una serie di variabili psicologiche, sociali e culturali.
All'origine della permanenza nella relazione abusante e nella recidiva vittimologia vi può essere un processo di assunzione di identità attraverso una sorta di conversione, una forma di condizionamento verso la donna.

Non ci si dovrebbe così fermare dinnanzi ad uno schieramento tra favorevoli o contrari alla festa della donna in quanto tale. Ma si dovrebbe altresì approfittare di tali momenti per sancire l’importanza della donna, delle relazioni sane tra gli individui, della denuncia dei maltrattamenti e della necessità di un supporto più attivo e responsabile da parte delle autorità. Non é schierandosi solo quali rivoluzionari e contrari verso tale giorno che si otterranno risultati produttivi nei confronti di questa situazione, che sta letteralmente sfuggendo di mano a qualsiasi individuo. Avere occhi critici, neutri e non giudicanti permetterà di godere di ogni momento e di agire secondo giustizia e non solo secondo ribellione nei confronti della massa per emergere in una giornata che anziché essere bandita potrebbe essere colta come l’occasione in cui ribadire la bellezza della donna, le conquiste ottenute con sacrifici e l’importanza della solidarietà.

 Scritto in collaborazione con
Federica Baio ex-studentessa di Psicologia
Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”

Ambiti d'intervento


  • Disturbi dell'adulto
  • Ansia
  • Disturbi psicosomatici
  • Nevrosi
  • Problemi della coppia
  • Separazioni
  • Problemi sessuali
  • Disturbi della comunicazione
  • Conflittualità familiari
  • Rapporti fra generazioni
  • Problematiche genitoriali
  • Psicologia delle Migrazioni
  • Mediazione culturale