Isolamento e ansia, il Covid-19 e la “Sindrome della Capanna”

Isolamento e ansia, il Covid-19 e la “Sindrome della Capanna”

Che cosa è successo da febbraio 2020 ad oggi? Il tempo sembra essere passato in maniera insolita, per alcuni velocemente, per altri molto più lentamente. Il temuto protagonista di questa storia è il Coronavirus, la pandemia riscontrata verso la fine del 2019 a Whuan, in Cina, e poi diffusasi in tutto il mondo nell'arco di pochi mesi.
Questo è stato un evento inaspettato ed insolito in questa era contemporanea, tanto che oltre a livello medico, è stato molto complicato anche, e per alcuni soprattutto, a livello psicologico.

Il furtivo e incontrollabile virus nell'arco di alcuni mesi ha causato milioni di morti nel mondo, oltre che nel nostro paese. Per tale gravità nel marzo 2020 tutti noi abbiamo dovuto rispettare un'indicazione che ci è costata cara: rimanere in casa a tempo indeterminato, uscire solo in caso di necessità, dunque siamo stati costretti ad un lockdown.

Molti hanno perso il loro lavoro, altri sono rimasti per mesi in case molto piccole 24 ore al giorno, tanti studenti o lavoratori non sono riusciti a tornare più nella loro abitazione d'origine, poiché tutto era bloccato, spostamenti inclusi. Le persone anziane sono rimaste in casa senza poter vedere i loro nipoti, o figli. Chi era in viaggio ha dovuto attendere per altri giorni prima di poter tornare nel proprio paese. I bambini non potevano giocare al parco, gli sportivi non potevano correre e allenarsi con i loro compagni.

Una cosa che accomuna queste diverse situazioni è il dover rimanere in casa senza uscire, sacrificarsi ed abituarsi a questa ristretta direttiva, facendo anche i conti con la solitudine.

I soggetti più a rischio di sviluppare danni a causa dell'isolamento sono considerati gli anziani e persone con disturbi mentali, come ansia sociale o depressione. Ma paradossalmente quest'ultimi individui convivono con tale solitudine, a differenza di soggetti sani che durante la quarantena ne hanno risentito notevolmente di più. Non potersi abbracciare, baciare, dare la mano, incontrarsi con altre persone, sono tutti gesti quotidiani a cui si è dovuto rinunciare.

Oltre alla solitudine, un'altra emozione che ha accompagnato le lunghe giornate del lockdown è stata la preoccupazione che ha di conseguenza generato ansia. Le preoccupazioni erano rivolti ai contagi, ai propri cari ed in primis per coloro che potevano essere maggiormente a rischio come parenti anziani o vulnerabili. Inoltre si era in allerta per le cause che tale blocco potesse portare in ambito economico per le proprie attività ed in generale per il paese.

Queste paure che si tramutano in veri e propri stati d'ansia riguardano la maggior parte degli italiani. Gli infermieri e medici per il lungo ed interminabile lavoro assiduo riportano un disturbo post traumatico da stress (PTSD), con ricordi offuscati del periodo trascorso e ricorrenti flashback.

Altri riportano stati depressivi ed ansiosi a causa dei ristretti comportamenti da utilizzare quando si esce, ad esempio per fare la spesa. Dove il quotidiano diventa pericoloso come incontrare altre persone nello stesso scaffale o essere agitati per il rischioso assembramento che può crearsi lungo la fila per la cassa.

I giovani, meglio degli anziani, si sentono più vicini all'altro con l'uso dei social media, e non fanno ricerche ossessive sugli andamenti del Covid-19 come invece è tipico degli anziani.

Un metodo per rassicurarsi di non essere davvero soli è dipeso dal tipo di legame che si ha con i propri amici, partner e cari. Maggiore e reale è il legame e minore sarà il senso di vuoto. Nonostante non ci sia nessuno fisicamente, si avrà una ulteriore consapevolezza sul fatto di non essere soli. E quest'ultimo aspetto è stato utile per alleviare la malinconia e il senso di solitudine.

Concluso il periodo di isolamento causato dalla pandemia da Covid-19, le persone potevano riprendere, con le precauzioni del caso, ad uscire dopo mesi in cui sono rimaste come “prigioniere” in casa. Questo ha portato una sensazione di incertezza, paura e continua ansia nel poter di nuovo incontrare altre persone in un mondo che ancora non da piena tranquillità. Ciò è causato da una persistente idea di poter essere esposti ad un rischio esterno e che dunque la casa sia l'unico rifugio sicuro dove rimanere.

Tale sensazione viene definita in psicologia come “Sindrome della Capanna” o anche detta “Sindrome del Prigioniero”.

I sintomi più comuni sono la paura, l'irritabilità, la frustrazione, il malessere fisico e le difficoltà a livello cognitivo come scarsa memoria e maggior difficoltà nel concentrarsi. Tale sindrome non è paragonabile ad un disturbo mentale vero e proprio ma si è potuto constatare come dopo un lungo periodo di isolamento in casa o in ospedale, in situazioni di pericolo, l'uomo tenda a tutelarsi volendo rimanere nel luogo in cui per mesi è stato per lui uno scudo dal virus che all'esterno metteva a repentaglio milioni di vite.

Per affrontare la “Sindrome della Capanna” vengono utilizzate delle strategie come: accogliere le proprie emozioni, sapersi ascoltare, colmare la giornata così da non avere tempi vuoti, ed infine prendersi cura di se stessi coccolandosi e soddisfacendo i propri desideri/bisogni.

Generalmente  tale sindrome può sparire o diminuire con la normalizzazione della situazione minacciosa esterna. 

In conclusione, le conseguenze del Covid-19 hanno portato grandi mutamenti nelle nostre vite. Una strategia di sopravvivenza per colmare un momento di isolamento e ansia causato da questo periodo è apprezzare la positività della situazione. Viversi la famiglia a pieno, godersi una quotidianità differenti a quella frenetica di tutti i giorni.Anche la positività e l'ironia possono essere dei buoni ingredienti per la serenità della psiche. Come ironicamente afferma il comunicato dell'Ordine degli Psichiatri: “Se parlate ai muri o al frigorifero, non preoccupatevi. Contattateci solo se vi rispondono”.

In collaborazione con Ceciclia Mazai Agrioli
Tirocinante presso “Università degli studi di Urbino Carlo Bo”

Dott.ssa Maria Luisa Mazzetta

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